Roma, 19 ago. (Adnkronos) - Era la notte del 20 agosto 1911 quando l'italiano Vincenzo Peruggia, decoratore e imbianchino, rubò la Gioconda di Leonardo da Vinci dal Louvre. Originario di Dumenza, un paese del nord della provincia di Varese, emigrato in Francia giovanissimo, Peruggia aveva lavorato anche al Louvre e partecipato ai lavori per la sistemazione della teca di vetro dove era custodito il dipinto, allora nel Salon Carré. Conosceva quindi benissimo il luogo e le abitudini del personale del museo.
Era la prima volta che un dipinto veniva rubato da un museo, per di più dell'importanza del Louvre. Uno smacco cui seguì un'attività investigativa di tre anni, non proprio brillante, e che trasformò presto il capolavoro di Leonardo da Vinci in una vera e propria leggenda.
Ad oggi la Monna Lisa è il ritratto più celebre al mondo. Fu proprio Leonardo a portarla con sé in Francia, nel 1516, vendendola poi a caro prezzo al re di Francia Francesco I. Più tardi il dipinto fu trasferito a Versailles su richiesta di Luigi XIV e dopo la Rivoluzione francese giunse al Louvre. Ne uscì poi per approdare nella camera da letto di Napoleone Bonaparte che lo volle tenere lì per qualche tempo fino a quanto fece ritorno al museo parigino.
Tornando al fatidico furto, oggi fa un certo effetto la facilità con cui venne messo a segno. Quella domenica notte precedeva il canonico giorno di chiusura del Louvre e l'imbianchino Peruggia dormiva sereno nel ripostiglio in attesa che arrivassero le sette del mattino quando, allentatasi la sorveglianza, tolse con facilità il dipinto dalla cornice e se lo infilò sotto il cappotto.
Era stato lui stesso a inserirlo nella teca tempo prima e sapeva come agire. Poi con tutta calma si diresse verso l'uscita e chiese aiuto ad un idraulico perché gli aprisse il portone. In un baleno fu così su Rue de Rivoli e poco dopo in un comodo taxi. Erano le 8,30 del mattino.
Le uniche misure di sicurezza allora consistevano nell'addestramento delle guardie al judo. E il furto dal Louvre rappresentava un'assoluta novità. Le ricerche, infatti, furono lente e condotte con difficoltà.
Il primo sospettato fu il poeta francese Guillaume Apollinaire: aveva, infatti, dichiarato di voler distruggere i capolavori di tutti i musei per fare posto all'arte nuova. Così fu condotto in prigione. In realtà il suo arresto aveva come unica prova la testimonianza, falsa, dell'amante Honore Geri Pieret che lo accusò di aver ricettato statuette antiche rubate dal museo.
Venne interrogato anche Pablo Picasso ma anche lui fu poi rilasciato. Ad un certo punto si ventilò l'ipotesi che si trattasse di un furto di Stato ad opera dell'Impero tedesco, nemico della Francia. Man mano, però, che il tempo passava la speranza andava scemando. Si fece spazio così la scelta di 'consolarsi' un po' e, dopo qualche tempo, per sostituire la Gioconda fu scelto il Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello.
Nel 1913 accadde però qualcosa di inaspettato che diede una svolta alle indagini. Peruggia, infatti, tornato nel suo paese, Luino, per regalare la Gioconda all'Italia, con la garanzia che vi sarebbe rimasta (riteneva infatti, sbagliando, che l'opera fosse stata rubata durante le spoliazioni napoleoniche), si recò ingenuamente a Firenze, per rivendere l'opera.
A Firenze l'antiquario Alfredo Geri ricevette una strana lettera firmata "Leonardo" in cui vi era scritto: 'Il quadro è nelle mie mani, appartiene all'Italia perché Leonardo è italiano'. La missiva era accompagnata poi dalla richiesta di 500.000 lire in cambio dell'opera. Fu così che, incuriosito, Geri fissò un appuntamento nella sua stanza dell'Hotel Tripoli, accompagnato dal direttore degli Uffizi Giovanni Poggi. Era l'11 dicembre 1913. I due si accorsero che l'opera era originale e se la fecero consegnare per "verificarne l'autenticità".
Nell'attesa il Peruggia se ne andò a serenamente a zonzo, ma poco dopo venne pizzicato e arrestato. Processato, fu definito "mentalmente minorato" e venne condannato a un anno e quindici giorni di prigione, poi ridotti a sette mesi e quindici giorni. La sua difesa si basò sul patriottismo e suscitò anche qualche simpatia. Si parlò persino di "peruggismo".
Approfittando del clima amichevole che allora regnava nei rapporti tra Italia e Francia, il dipinto ormai ritrovato venne esibito in tutta la penisola: prima agli Uffizi di Firenze, poi all'ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, infine alla Galleria Borghese. La Gioconda arrivò in Francia a Modane, su un vagone speciale delle Ferrovie italiane, accolta in pompa magna dalle autorità d'oltralpe, per poi giungere a Parigi dove, nel Salon Carre', l'attendevano il Presidente della Repubblica francese, Raymond Poincare', e tutto il Governo.
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