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giovedì 12 marzo 2020
lunedì 9 febbraio 2015
Dagli Usa l'elisir di giovinezza: la pillola miracolo dei Nobel
L’elisir di
giovinezza in
una pillola? Secondo la Elysium Health, società di Leonard Guarente, ex
professore al Mit di Boston, il segreto è l’integratore Basis, per ora testato solo sui topi,
che avrebbe gli stessi effetti di una dieta povera di calorie, la chiave per una vita
lunga. Il lavoro ha visto il coinvolgimento di cinque premi Nobel tra cui Martin
Karplus, premiato per la
chimica nel 2013.
Gli scienziati hanno dimostrato di poterestendere
la vita dei topi di laboratorioalimentandoli di meno. Il
processo, noto come ‘restrizione calorica’,
è mediato da molecole biologiche chiamate sirtuine, a loro volta dipendenti dal livello del Nad+ (nicotinamide adenina dinucleotide),
che tende a scendere con l’età. L’idea di base è quindi quella di intervenire incrementando
la quantità di
questa molecola nelle cellule.
Basis,
dunque, oltre a contenere pterostilbene, un antiossidante che stimola le
sirtuine, include anche un precursore del Nad+, il riboside nicotinamide, che
l’organismo può metabolizzare, avviando il processo di allungamento della vita.
Questo idealmente. L’integratore infatti, testato solo sui topi, non garantisce
affatto un meccanismo analogo sull’uomo.
Il
problema, come lo stesso Guarente ha precisato,
risiede nella quasi impossibilità di dimostrare, in un tempo
ragionevole, che i farmaci che estendono la durata della vita degli animali
possono fare lo stesso nelle persone: un tale esperimento potrebbe infatti
richiederedecenni, vista l’attuale durata media della vita
umana.
Ecco
perché, attualmente, l’azienda ha deciso di fermare la pillola allo status
di integratore, che negli Stati Uniti non richiede
sperimentazione umana e controllo dell’Fda, l’organo preposto
all’autorizzazione al commercio dei farmaci. L’indagine dunque proseguirà con
una fase detta di post-marketing, ovvero di verifiche dopo la commercializzazione, già in
corso.
Nonostante
ciò, Elysium Health si è impegnata a seguire i severi
standard di qualità della produzione farmaceutica. Le pillole
sono disponibili unicamente attraverso il sito web,
al prezzo fissato di 60 dollari (53
euro) per una fornitura di 30 giorni o di 50 dollari al mese (44 euro), tramite abbonamento.
Se
l’uomo funzionasse come un topo sembreremmo dunque vicini all’elisir di eterna giovinezza tanto sognato. Ma sarà così?
giovedì 5 febbraio 2015
Analisi del sangue in 15 minuti con lo smartphone
Laboratorio 'tascabile' per paesi in via di sviluppo
Poche gocce di sangue, 25 euro, 15 minuti di tempo e uno smartphone: è quanto serve per diagnosticare un'infezione di Hiv o sifilide grazie a un mini-laboratorio ideato per fare le analisi del sangue
nei Paesi in via di sviluppo.
A trasformare un vero laboratorio di analisi in un 'accessorio' low-cost simile a un telefonino è la ricerca coordinata da Samuel Sia, dell'Università Columbia, pubblicata sulla rivista Science Translational Medicine.
Fare analisi cliniche, anche basilari, lontani da una struttura organizzata e senza energia elettricaè un impresa quasi impossibile. Per cercare di aiutare i medici che lavorano in regioni povere con alta diffusione di infezioni gravi come quella da Hiv e la sifilide, i ricercatori americani hanno messo a punto un piccolo kit di diagnosi rapida da usare collegandolo ad uno smartphone o a un pc.
E' una piccola 'scatola' che, con una semplice puntura sul dito, preleva poche gocce di sangue per eseguire test clinici in appena 15 minuti. Per alimentare il dispositivo basta collegarlo all'uscita degli auricolari di uno smartphone o di un pc. Il costo è di 25 euro, contro i 15.000 necessari per un'attrezzatura da laboratorio con le stesse caratteristiche.
"Sappiano che una diagnosi precoce su donne incinte può ridurre notevolmente le conseguenze per le madri e i loro bambini", ha spiegato Sia. I primi test sul campo sono stati eseguiti in Ruanda con operatori sanitari che hanno utilizzato il dispositivo per analizzare 96 pazienti e ora i ricercatori puntano a distribuire un gran numero di kit agli operatori che lottano sul campo contro sifilide e Hiv.
A trasformare un vero laboratorio di analisi in un 'accessorio' low-cost simile a un telefonino è la ricerca coordinata da Samuel Sia, dell'Università Columbia, pubblicata sulla rivista Science Translational Medicine.
Fare analisi cliniche, anche basilari, lontani da una struttura organizzata e senza energia elettricaè un impresa quasi impossibile. Per cercare di aiutare i medici che lavorano in regioni povere con alta diffusione di infezioni gravi come quella da Hiv e la sifilide, i ricercatori americani hanno messo a punto un piccolo kit di diagnosi rapida da usare collegandolo ad uno smartphone o a un pc.
E' una piccola 'scatola' che, con una semplice puntura sul dito, preleva poche gocce di sangue per eseguire test clinici in appena 15 minuti. Per alimentare il dispositivo basta collegarlo all'uscita degli auricolari di uno smartphone o di un pc. Il costo è di 25 euro, contro i 15.000 necessari per un'attrezzatura da laboratorio con le stesse caratteristiche.
"Sappiano che una diagnosi precoce su donne incinte può ridurre notevolmente le conseguenze per le madri e i loro bambini", ha spiegato Sia. I primi test sul campo sono stati eseguiti in Ruanda con operatori sanitari che hanno utilizzato il dispositivo per analizzare 96 pazienti e ora i ricercatori puntano a distribuire un gran numero di kit agli operatori che lottano sul campo contro sifilide e Hiv.
mercoledì 21 gennaio 2015
Tutti i modi con cui il multitasking ci rovina (davvero) il cervello
Il Quoziente Intellettivo si abbassa
anche di 10 punti. ll neuroscienziato Daniel J. Levitin esamina gli «effetti
collaterali» del sovraccarico di stimoli da email, sms e social.
s
I cantori delle meraviglie del
multitasking sono avvisati: l’epopea del fare tutto e possibilmente in
contemporanea non è cosi mitica come si crede. Non lo è almeno per il nostro
cervello. Non è la prima volta che gli studi scientifici si occupano — e si
preoccupano — degli effetti collaterali del sovraccarico di stimoli e di
richieste sulla nostra “centrale di controllo”. Adesso lo ribadisce il
neuroscienziato Daniel J. Levitin , direttore del Laboratory for Music,
Cognition and Expertise alla McGill University e autore del libro “The
Organized Mind: Thinking Straight in the Age of Information Overload.” (“La
mente organizzata: restare lucidi nell’era dell’eccesso di informazione”, ndr)
in un articolo pubblicato sulle pagine scientifiche del quotidiano britannico
The Guardian: il multitasking ci rende meno efficienti e comporta un vero e
proprio esaurimento delle funzioni cerebrali. «Stiamo facendo i lavori di 10
persone diverse, cercando anche di tenere il passo con la nostra vita, i nostri
figli e genitori, i nostri amici, le nostre carriere, i nostri hobby, e le
nostre programmi televisivi preferiti», scrive Levitin.
Non siamo giocolieri esperti
È ormai esperienza quotidiana:non c’è
momento della nostra giornata in cui non “messaggiamo”, leggiamo la posta,
“chattiamo” sulle varie piattaforme messe a disposizione dalla tecnologia. «Ma
c’è un unico neo — ci spiega il professor Levitin— . Anche se pensiamo di fare
diverse cose contemporaneamente, questa è una illusione potente e diabolica.
Earl Miller, un neuroscienziato del MIT e uno dei massimi esperti mondiali di
attenzione divisa, dice che il nostro cervello “non è cablato bene per il
multitasking ... Quando la gente pensa di fare multitasking, in realtà sta solo
passando da un compito a un altro molto rapidamente . E ogni volta che lo fa,
c’è un costo cognitivo». Quindi non stiamo in realtà tenendo un sacco di palle
in aria come un giocoliere esperto, assomigliamo piuttosto a un dilettante
scarso che fa girare i piatti, passando freneticamente da un compito all’altro,
ignorando quello che non è proprio davanti a noi, ma preoccupati che crollerà
da un momento all’altro. Anche se pensiamo che stiamo facendo un sacco di cose,
ironia della sorte, il multitasking ci rende palesemente meno efficienti».
Il circolo vizioso della dopamina
I meccanismi innescati dall’attività
frenetica giocata su più “tavoli” sono stati ampiamente studiati .« Si è visto
che il multitasking aumenta la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress,
e di adrenalina, l’ormone del “lotta o scappa”, che può stimolare eccessivamente
il cervello e causare annebbiamento o pensieri disturbati — racconta Levitin —.
Il multitasking crea un circolo vizioso di dipendenza dalla dopamina, premiando
effettivamente il cervello a perdere la concentrazione e a cercare stimoli
esterni. A peggiorare le cose, la corteccia prefrontale ha una “distorsione da
gadget”, il che significa che la sua attenzione può essere facilmente distratta
da qualcosa di nuovo - gli oggetti luccicanti proverbiali che usiamo per
invogliare i bambini, cuccioli e gattini. L’ironia qui per quelli di noi che
stanno cercando di mettere a fuoco tra le attività in concorrenza è chiaro: la
regione del cervello di cui abbiamo molto bisogno di fare affidamento per
rimanere concentrati sul compito è facilmente disturbata. Rispondere al
telefono, cercare qualcosa su internet, controllare la posta, inviare un Sms: e
ognuna di queste cose modifica i centri del cervello deputati alla ricerca
della novità e della ricompensa, provocando uno scoppio di oppioidi endogeni
tutto a scapito della nostra concentrazione sul compito da svolgere».
L’ info-mania rende meno intelligenti
Secondo l’autore , anche la semplice
opportunità di fare più cose contemporaneamente è dannosa per le prestazioni
cognitive. «Glenn Wilson, ex docente a contratto di psicologia presso Gresham
College di Londra, lo chiamainfo-mania . La sua
ricerca — scrive Levitin — ha scoperto che trovarsi in una situazione in cui si
sta cercando di concentrarsi su un compito e si ha una e-mail non letta nella
posta in arrivo, può ridurre il QI (Quoziente Intellettivo) effettivo di 10
punti. E anche se le persone attribuiscono molti benefici per la marijuana, tra
cui una maggiore creatività e riduzione del dolore e lo stress, è ben
documentato che il suo ingrediente principale, il cannabinolo, attiva i
recettori cannabinolici dedicati nel cervello e interferisce profondamente con
la memoria e con la nostra capacità di concentrarsi su diverse cose
contemporaneamente. Wilson ha mostrato che le perdite cognitive da multitasking
sono ancora superiori alle perdite cognitive dei fumatori di cannabis».
Le informazioni «deviate»
Levitin cita poi Russ Poldrack,
neuroscienziato a Stanford, secondo il quale nel processo di apprendimento
mentre si fa multitasking le nuove informazioni sono dirette verso la parte
sbagliata del cervello. «Se ad esempio gli studenti studiano e guardano la TV
allo stesso tempo — racconta Levitin —, le informazioni acquisite dai loro
compiti si indirizzano al corpo striato, una regione specializzata nella
memorizzazione di nuove procedure e competenze, non di fatti e idee. Senza la
distrazione della TV,invece, le informazioni raggiungono l’ippocampo, dove
vengono organizzate e classificate in una varietà di modi, rendendo più facile
recuperarle. Earl Miller del Massachusetts Institute of Technology aggiunge,
«La gente non può fare multitasking molto bene, e quando dice che possono,
stanno illudendo se stessi. E si scopre che il cervello è molto bravo in questo
business dell’illusione» .
I costi sul metabolismo
Poi ci sono i costi metabolici .
Chiedere al cervello di spostare l’attenzione da un’attività all’altra
costringe la corteccia prefrontale e il corpo striato a bruciare il glucosio
ossigenato, lo stesso combustibile du cui hanno bisogno per restare concentrati
sui compiti . «E il tipo di spostamento rapido e continuo che operiamo con il
multitasking — spiega Levitin —fa sì che il cervello bruci il combustibile così
rapidamente che ci sentiamo esausti e disorientati dopo anche per breve tempo.
Abbiamo letteralmente impoverito i nutrienti nel nostro cervello. Questo porta
a compromessi in termini di prestazioni cognitive e fisiche. Tra le altre cose,
il cambiamento ripetuto dei compito porta ad ansia, che aumenta i livelli di
cortisolo, l’ormone dello stress nel cervello, che a sua volta può portare a un
comportamento aggressivo e impulsivo. Al contrario, la concentrazione sul
compito è controllata dal cingolo anteriore e dal corpo striato, e una volta
che attiviamo la modalità esecutiva centrale, rimanere in quello stato comporta
un minore utilizzo di energia rispetto al multitasking e di fatto riduce la
necessità di glucosio per il cervello». Uno studio del 2013 condotto dalla
Michigan State University aveva già messo in guardia sulla possibile
associazione del multitasking digitale ad ansia e depressione, senza però
chiarire se sia il disagio psicologico a portarci a cercare distrazione nel
sovraccarico digitale o siano tablet e cellulari a provocare il malessere.
Il corto circuito delle decisioni
C’è poi il problema delle decisioni da
prendere che nel multitasking viene amplificato a dismisura causando una specie
di corto circuito. «Questa incertezza — afferma Levitin— manda in tilt il
nostro rapido sistema di categorizzazione percettiva, è causa di stress, e porta
al sovraccarico di decisione. Si scopre che il processo decisionale ha un
impatto anche sulle risorse neurali e che le piccole decisioni sembrano
prendere tanta energia quanto quelle grandi . Una delle prime cose che perdiamo
è il controllo degli impulsi. Si innesca rapidamente uno stato di impoverimento
in cui, dopo aver preso un sacco di decisioni senza senso, rischiamo di finire
con il decidere davvero male su qualcosa di importante». Questo vale per le
email, ormai dilaganti, e a maggior ragione per gli Sms che creano una
dipendenza più sottile. «Si risponde e ci si sente ricompensati per aver
portato a termine un compito (anche se questo compito era del tutto sconosciuto
a solo 15 secondi prima). Ognuno di questi Sms trasporta un “proiettile” di dopamina».
Una ricompensa buona da morire
I topi lo hanno dimostrato molto bene. «
In un famoso esperimento — sottolinea Levitin — , i miei colleghi della McGill
Peter Milner e James Olds, entrambi neuroscienziati, hanno piazzato un piccolo
elettrodo nel cervello dei topi, in una piccola struttura del sistema limbico
chiamata nucleo
accumbens. Tale struttura regola la produzione di
dopamina ed è la regione che si “illumina” quando i giocatori d’azzardo vincono
una scommessa, i tossicodipendenti prendono la cocaina, oppure quando si ha un
orgasmo. Olds e Milner lo hanno chiamato il centro del piacere. Una leva nella
gabbia permette ai topi di inviare un piccolo segnale elettrico direttamente ai
loro nucleo accumbens. Ebbene ai topi piaceva a tal punto da non fare
nient’altro. Hanno dimenticato del tutto di mangiare e dormire. Molto tempo
dopo avevano fame e hanno ignorato il cibo gustoso in cambio della possibilità
di premere quella piccola leva cromata; hanno anche ignorato il sesso. I ratti
appena premuto la leva più e più volte, fino a che sono morti di fame e di
stanchezza. Ci ricordano qualcosa? Un uomo di 30 anni è morto a Guangzhou
(Cina) dopo aver giocato i videogiochi ininterrottamente per tre giorni . Un
altro uomo è morto a Daegu (Corea) dopo aver giocato ai videogiochi quasi
ininterrottamente per 50 ore, bloccato solo perché è andato in arresto
cardiaco» .
Twitter e Facebook
Strumenti come Twitter o Facebook
agiscono alla stessa maniera. «Ogni volta che inviamo una e-mail in un modo o
nell’altro, proviamo un senso di realizzazione, e il nostro cervello riceve un
pizzico di ormoni-i ricompensa che ci dicono abbiamo realizzato qualcosa —
conclude Levitin — . Ogni volta che controlliamo un o “tweet” su Twitter o un
aggiornamento di Facebook, incontriamo qualcosa di nuovo , ci sentiamo più
connessi socialmente e otteniamo un’altra cucchiaiata di ormoni -ricompensa. Ma
ricordate, è la parte muta e sempre affamata di novità del cervello che guida
il sistema limbico, a indurre questa sensazione di piacere, non i centri del
pensiero di livello superiore posti nella corteccia prefrontale. Non commettete
errori: controllare email-, Facebook- e Twitter costituisce una dipendenza
neurale».
mercoledì 7 gennaio 2015
La pillola del "pasto immaginario": fa credere al corpo di aver mangiato
Una ricerca americana presenta la fexaramina, una sostanza che avvia il
processo digestivo senza il consumo di cibo e permette all'organismo di
bruciare il grasso in eccesso
Il sogno di ogni persona sovrappeso
potrebbe essere presto esaudito: dagli Usa arriva la pillola che aiuta a far
sparire i chili di troppo. Si chiama fexaramina ed è un farmaco ancora in fase
di sperimentazione che riesce a "ingannare" il corpo attivando i
processi digestivi con un "pasto immaginario" per indurlo a bruciare
i grassi. I test sui roditori hanno dato finora risultati promettenti fermando
l'aumento di peso.
Dimagrire senza fame - Oltre a fermare l'aumento di peso, lafexaramina permette anche di
abbassare i livelli di colesterolo e zuccheri nel sangue e di minimizzare
l'infiammazione. Ronald Evans, autore dello studio e direttore del Gene
Expression Laboratory del Salk Institute di La Jolla (California), crede che il
farmaco potrà essere presto pronto per la sperimentazione clinica umana.
"Questa pillola è come un pasto immaginario - ha dichiarato - invia gli
stessi segnali che normalmente partono all'interno dell'organismo quando si
ingeriscono grandi quantità di cibo. Per poterlo immagazzinare il corpo, sulla
base di questi segnali, inizia a sgombrare lo spazio. Ma in questo caso le
calorie non ci sono. E non c’è nessun cambiamento dell'appetito".
La lotta alla bilancia - Il team guidato da Evans ha somministrato una pillola al giorno per 5
settimane a un gruppo di topi obesi. I risultati hanno evidenziato
un'accelerazione del metabolismo e la "conversione" di alcuni depositi
di grasso bianco nel loro organismo in una forma adiposa "bruna", più
sana e in grado di bruciare energia. Alla base della pillola c'è un meccanismo
che coinvolge il recettore farnesoide X (Fxr), una proteina che catalizza il
processo attraverso cui il corpo rilascia acidi biliari dal fegato, digerisce
il cibo e immagazzina grassi e zuccheri. Questo recettore si attiva all'inizio
di un pasto e spinge l'organismo a bruciare grassi per prepararsi ad accogliere
il cibo in entrata.
Possibile trattamento contro l'obesità - La somministrazione via orale e non endovenosa permette al farmaco di
agire in maniera mirata al livello dell'intestino, limitandone gli effetti
collaterali e ottenendo migliori risultati sul fronte bilancia. Ora il team di
scienziati sta lavorando per testare l'efficacia della fexaramina nella lotta
contro l'obesità e le malattie metaboliche.
sabato 3 gennaio 2015
Tumori, la ricerca shock: ne causa più la sfortuna che lo stile di vita
Lo studio pubblicato su
Science è stato elaborato su modelli matematici e analizzando 31 differenti
tipi di neoplasie: solo in 9 di essi è stato trovato un collegamento diretto
con le abitudini e le condizioni del malato. L'esito suggerisce che si debbano
aumentare gli sforzi per progredire sulle diagnosi precoci
In molti casi ammalarsi di
cancro è solo un fatto di sfortuna e non di stile di vita. Riassunta così, la
conclusione della ricerca condotta alla Johns Hopkins School of Medicine del
Maryland potrebbe apparire sconvolgente da un punto di vista scientifico perché
controcorrente rispetto a tutto quanto da anni ripetonostudiosi e medici. Eppure è proprio quello che sostengono i due
ricercatori che hanno elaborato lo studio pubblicato sulle pagine del
prestigiosa rivista "Science".
Due terzi dei
tumori sarebbero infatti dovuti a mutazioni legate al puro caso, intendendo con
ciò tutto quello che l'uomo e la scienza non sono ancora riusciti a spiegare,
piuttosto che a stili di vita sbagliati come il fumo. Solo un terzo sarebbe
invece legato a fattori ambientali o predisposizioni ereditarie. In sintesi, il
66% dei tumori è pura sfortuna, ossia sembrano apparentemente incomprensibili
perché si verificano in assenza di comportamenti a rischio. Questa 'certezza'
non cancella il fatto che gli stili di vita sbagliati aumentino il rischio di
ammalarsi: il fumo da solo, ad esempio, resta il responsabile del 20% dei casi
di cancro in tutto il mondo. Lo stesso vale per l'eccessiva esposizione al
sole, bere troppo alcol o essere sovrappeso.
Gli autori della
ricerca sono il genetista Bert Vogelstein e il matematico Cristian Tomasetti
che hanno analizzato 31 differenti tumori e, seguendo dei modelli matematici,
sono arrivati al seguente risultato: solo 9 sono risultati essere collegati
allo stile di vita o a difetti genetici; i restanti 22 erano
"principalmente collegati alla sfortuna: il Dna o come viviamo hanno solo
un piccolo impatto", evidenziano i ricercatori.
Tra le neoplasie
collegate alla 'cattiva sorte', la ricerca inserisce quelle localizzate in
alcuni organi e tessuti: cervello, testa-collo, tiroide, esofago, polmone,
osso, fegato, pancreas, melanoma, ovario e testicolo. Su alcune forme tumorali
i ricercatori evidenziano invece come il fumo, gli effetti del sole, delle
radiazioni, di un eccessivo consumo di carne e fattori genetici possano avere
un effetto scatenante (ad esempio tumore al polmone, fegato e gola).
Il lavoro di
Vogelstein e Tomasetti si è concentrato sulle staminali, cellule che si possono
differenziare in diversi tipi di tessuti a seconda delle esigenze. Proprio a
causa della loro longevità, una mutazione nelle staminali può avere conseguenze
molto più deleterie rispetto a quando ciò accade in una cellula comune.
Gli scienziati
hanno contato le mutazioni casuali che possono avvenire durante una divisione
cellulare, lasciando da parte altre cause (geni difettosi ereditati o di tipo
ambientale come il fumo o la presenza di radiazioni). Il sistema matematico
elaborato dai ricercatori ha evidenziato che all'aumentare del numero di
divisioni cellulari aumenta il rischio che si sviluppi un tumore.
Secondo gli
scienziati, dunque, in molti casi non è possibile prevenire i tumori, ma se
resta ferma il valore della prevenzione generale, la ricerca dovrebbe
concentrarsi però soprattutto sulla diagnosi precoce per bloccare il cancro nei
primi stadi di sviluppo e quando la soluzione chirurgica può essere decisiva.
Lo studio, che
lascia fuori dall'analisi un terzo delle neoplasie conosciute per le quali le
cause sono particolari predisposizioni genetiche e ambientali molto pericolose,
è comunque un lavoro di tipo statistico e quindi andrà verificato con altre
ricerche.
martedì 28 ottobre 2014
29 OTTOBRE GIORNATA MONDIALE DELL'ICTUS
L’immagine simbolo della campagna regionale di prevenzione dell’ictus
FIRENZE – Nella lotta per le patologie invalidanti che arrivano senza preavviso il fattore tempo è determinante. Ed è questo l’aspetto su cui punta anche la campagna di prevenzione dell’ictus promossa dalla Regione Toscana (e realizzata in collaborazione con l’associazione «Alice»): grazie all’immagine di un cronometro, con al suo interno un cervello che si deteriora col passare dei minuti.
Contrariamente a quanto accade per l’infarto, non c’è nell’ictus un dolore che mette in allarme. I sintomi compaiono improvvisamente. Come riconoscerli? Lo spiegano in maniera efficace le piccole icone che compaiono su manifesti, locandine e brochure che sono state preparate: bocca storta, braccio debole, difficoltà a parlare, difficoltà nella vista. E online all’indirizzo dedicato dalla Regione.
La campagna sarà varata in occasione della Giornata mondiale per la lotta all’ictus, che si celebra il 29 ottobre, ma è stata presentata stamani 27 ottobre dall’assessore alla Salute Luigi Marroni, assieme al responsabile del reparto Stroke Unit e Neurologia di Careggi, Domenico Inzitari, al presidente di Alice Firenze onlus Alessandro Viviani e al presidente di Alice Toscana onlus Luigi Rossi.
«La strategia della Regione Toscana per la lotta all’ictus – dice l’assessore Luigi Marroni – prevede un’azione sinergica tra la campagna informativa e il modello organizzativo clinico-assistenziale di presa in carico del paziente. La Rete Ictus che stiamo istituendo in Toscana ha l’obiettivo di ridurre, fino ad annullarlo, il ritardo evitabile di presa in carico e trattamento del paziente dopo l’evento acuto».
L’ictus cerebrale è una delle malattie più frequenti e gravi in termini di mortalità ed esiti invalidanti. In Italia, i casi di ictus sono circa 200 mila l’anno, e le morti attribuibili alle malattie cerebrovascolari sono 69 mila ogni anno. Sono 930 mila l’anno le persone che ne portano le conseguenze invalidanti, e l’handicap conseguente all’ictus è causa di costi elevati per le famiglie, il sistema sanitario e la società intera.
In Toscana, i casi di ictus sono circa 10 mila l’anno. Nella nostra regione l’ictus è responsabile dell’1,8% di tutti i ricoveri ospedalieri e del 2,7% di tutte le giornate di degenza. L’ictus è il secondo Drg (Diagnosis related group) della medicina interna in Toscana e questo significa che la stragrande maggioranza di questi malati sono ricoverati in medicina interna: il 70% si ricovera in medicina interna, il 21% in neurologia, il 3% in terapia intensiva, il 2% in geriatria, il 2% in neurochirurgia. La spesa complessiva per il servizio sanitario regionale è di 110.529.000 di euro per i primi due anni dopo l’evento acuto. E di 63 milioni l’anno per i circa 2.100 sopravvissuti con disabilità moderata grave.
giovedì 28 agosto 2014
Addio brutti ricordi, la scienza li trasforma in belli
Estirpare dalla memoria i ricordi di un amore finito, come accade nel film 'Se mi lasci ti cancello', potrebbe diventare inutile: un team di neuroscienziati americani è riuscito infatti a invertire le associazioni emotive legate ai ricordi. In pratica, quelli brutti sono stati trasformati in piacevoli. L'eccezionale ricerca, condotta sugli animali e descritta su 'Nature' dagli scienziati del Mit, 'fotografa' il circuito cerebrale che controlla come i ricordi si legano a emozioni positive o negative.
Inoltre i ricercatori hanno scoperto che potevano invertire l'associazione emotiva di ricordi specifici. Il tutto manipolando cellule cerebrali con l'optogenetica, una tecnica innovativa e sperimentale che utilizza la luce per controllare l'attività dei neuroni. I risultati dimostrano che il circuito che collega l'ippocampo e l'amigdala gioca un ruolo cruciale nell'associazione di emozioni e memoria. E, al di là del destino degli amanti infelici, proprio questo 'interruttore' potrebbe offrire un bersaglio per nuovi farmaci mirati a trattare il disturbo post-traumatico da stress e a superare violenti traumi, dicono i ricercatori.
"In futuro, potremo essere in grado di sviluppare metodi che aiutino le persone a ricordare le memorie positive più di quelle negative", dice Susumu Tonegawa, direttore del Riken-Mit Center for Neural Circuit Genetics. Ma, in pratica, come si fa a intervenire sui ricordi? Questi sono composti di molti elementi, immagazzinati in diverse parti del cervello. Il contesto, le informazioni su tempo, luogo e posizione al momento dell'accaduto vengono immagazzinate nelle cellule dell'ippocampo, mentre le emozioni legate a quello specifico ricordo si 'annidano' nell'amigdala.
Precedenti ricerche hanno dimostrato che molti aspetti della memoria, comprese le associazioni emotive, sono malleabili. Gli psicoterapeuti hanno approfittato di questo punto debole per aiutare i pazienti che soffrono di depressione e disturbo da stress post-traumatico, ma i circuiti neurali alla base di questo aspetto non erano noti.
Grazie a una tecnica sperimentale, l'optogenetica, i ricercatori hanno potuto etichettare - nei topi - i neuroni che codificano una memoria specifica. Il tutto individuando e marcando le cellule dell'ippocampo che si attivano durante la formazione del ricordo con una proteina sensibile alla luce. Da quel momento in poi, ogni volta che le cellule si attivano con la luce, i topi richiamavano la memoria codificata da quel gruppo di cellule.
L'anno scorso il laboratorio di Tonegawa ha usato questa tecnica per impiantare falsi ricordi nei topi, proprio come accade ad Arnold Schwarzenegger in 'Total Recall'. Ma ora gli scienziati hanno voluto andare oltre, per capire appunto come il contesto di un ricordo viene legato a una particolare emozione. E in che modo manipolarla.
Il team ha quindi etichettato i neuroni associati a un'esperienza gratificante (per i topi maschi, la compagnia di una topolina) o a una spiacevole (una lieve scossa elettrica). In questa prima serie di esperimenti, i ricercatori hanno lavorato su una parte dell'ippocampo chiamata giro dentato. Due giorni dopo i ricercatori hanno condotto un test dimostrando che la riattivazione 'artificiale' del ricordo pauroso e di quello piacevole aveva avuto successo. Dopodiché il team ha cercato di invertire le risposte emotive dei topi, agendo sul circuito cerebrale individuato. Il risultato è stato positivo.
"La plasticità del collegamento tra l'ippocampo e l'amigdala svolge un ruolo cruciale nella commutazione della valenza del ricordo", conclude Tonegawa. I suoi ricercatori stanno ora cercando di scoprire le firme molecolari dei due tipi di cellule dell'amigdala. Ma vogliono anche capire se riattivare ricordi piacevoli ha qualche effetto sulla depressione. (AdnCronos)
mercoledì 14 maggio 2014
La maglietta-diagnostica, il futuro della medicina
L’azienda canadese OMsignal ha ideato la prima “maglietta diagnostica” al mondo. Si parlava da tempo di questa idea e c’erano tutte le premesse per far sì che buona parte delle mosse di una visita medica potessero avvenire a distanza, tramite sensori applicati direttamente al corpo. L’idea geniale sta nel mascherare tali sensori con una maglietta per farli passare inosservati. E la maglietta non è l’unico prodotto di questo tipo.
Le t-shirt -che vanno ad aggiungersi a occhiali, orologi, cuffie “intelligenti” create in aiuto della scienza- potranno monitorare le funzioni vitali come battito cardiaco, respirazione e pressione attraverso degli elettrodi sistemati all’altezza del torace che comunicano con un mini computer che archivia i dati e che si trova in una delle tasche della maglietta. Si potrà tener conto delle calorie bruciate e del livello di stress dell’organismo, del buon funzionamento del cuore e delle anomalie eventuali. Il tutto in collegamento diretto con il computer del medico.Nonostante tutte queste belle premesse, la maglietta non è stata progettata né testata a puro scopo medico ma più come ausilio per gli allenamenti degli atleti. Ma la via verso l’utilizzo diagnostico è già aperta e percorribile, per esempio nei casi di asma, di patologie cardiache. Il progetto della OMsignal è stato presentato e illustrato sulle pagine della rivista MIT Technology Review, organo del prestigioso istituto di ricerca di Boston.
martedì 13 maggio 2014
Startnext: la fine del packaging?
lucammello13:05crowdfunding, FOOD, imballaggi, rifiuti, SALUTE, sostenibile, spesa, startnext, TECNOLOGIA
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Nasce a Berlino un supermercato senza imballaggi La spesa sarà totalmente sostenibile
In Germania sta nascendo il primo negozio privo di confezioni, in cui i prodotti saranno esposti in contenitori recuperati grazie al crowdfunding.
17:38 - A Berlino nascerà un supermercato unico nel suo genere, il primo a non utilizzare imballaggi a perdere, ovvero contenitori di plastica, carta o vetro da gettare dopo l'uso. I prodotti saranno esposti in scatole e recipienti forniti al negozio direttamente dai clienti e si porteranno via in borse di tela o barattoli esclusivamente riutilizzabili, messi a disposizione dal supermercato. Le persone, tornando nel negozio, potranno riutilizzare i contenitori per la loro spesa, oppure restituirli al punto vendita, che li darà ad un altro cliente.
Niente imballaggi e confezioni a perdere - L'obiettivo è quello di diminuire drasticamente la quantità di materiale utilizzato per gli acquisti, che solitamente viene gettato via. All'interno non si troveranno imballaggi tradizionali, ma frutta, verdura e tutto il resto sarà disposto in contenitori portati dalle persone che aderiranno al progetto. Non si acquisteranno quindi confezioni, ma le compere si faranno a peso attraverso, ad esempio, piccoli silos che forniranno solo la quantità di prodotto desiderata. Meno sprechi quindi. Nel supermercato si troveranno centinaia di alimenti, con un occhio di riguardo alla dieta vegana e vegetariana.
Raccolta fondi online - Il progetto si chiama Original Unverpackt ed è stato lanciato sul web, sul sito di crowdfunding startnext. La cifra minima da raggiungere per aprire il supermercato si aggira attorno ai 45mila euro, per coprire tutte le spese. All'arredamento poi ci penseranno i clienti stessi. "Il nostro obiettivo è di consentire a tutte le persone l'accesso a cibi selezionati con cura, escludendo imballaggi a perdere, per uno shopping divertente. Vogliamo avere scelta, come consumatori, come venditori, come acquirenti e come fornitori. Siamo alla ricerca di slow food e di rifiuti zero", dicono le due ideatrici di Original Unverpackt.
giovedì 29 agosto 2013
"Creato" mini cervello in provetta
L'organoide è stato messo a punto dagli scienziati a partire da cellule staminali. Una versione in miniatura del cervello umano è stata ottenuta in provetta dopo anni di ricerche. Di appena quattro millimetri, è un grande strumento a disposizione dei ricercatori. Il risultato pubblicato sulla rivistaNature è frutto di uno studio guidato dall'Istituto di Biotecnologie molecolari dell'Accademia austriaca delle scienze, insieme alleUniversità di Edimburgo e Londra e all'Istituto Sanger, della Wellcome Trust.
Possibile anche riprodurre patologie - I ricercatori, coordinati da Madeline Lancaster e Juergen Knoblich, osservano: "Siamo fiduciosi che questo metodo permetterà di studiare una varietà di malattie legate allo sviluppo neurologico".
Il cervello in miniatura si è rivelato uno strumento unico per studiare l'intero processo di sviluppo del cervello umano: "Lo sviluppo delle regioni della corteccia - dicono i ricercatori riferendosi al mini cervello artificiale - avviene secondo un'organizzazione simile a quella che si osserva nei primi stadi di sviluppo del cervello umano".
Il mini cervello è anche un laboratorio nel quale riprodurre malattie neurologiche finora impossibili da studiare in un modello. "La complessità del cervello umano - osservano gli autori della ricerca - rendeva impossibile studiare molti disordini in organismi modello". Adesso, invece, nel cervello in provetta è già stata riprodotta la prima malattia: la microcefalia.
Il cervello in miniatura si è rivelato uno strumento unico per studiare l'intero processo di sviluppo del cervello umano: "Lo sviluppo delle regioni della corteccia - dicono i ricercatori riferendosi al mini cervello artificiale - avviene secondo un'organizzazione simile a quella che si osserva nei primi stadi di sviluppo del cervello umano".
Il mini cervello è anche un laboratorio nel quale riprodurre malattie neurologiche finora impossibili da studiare in un modello. "La complessità del cervello umano - osservano gli autori della ricerca - rendeva impossibile studiare molti disordini in organismi modello". Adesso, invece, nel cervello in provetta è già stata riprodotta la prima malattia: la microcefalia.
A partire da staminali - Il cervello è stato costruito a partire da cellule staminali umane pluripotenti, ossia cellule immature in grado di svilupparsi in ogni direzione. Nella ricerca sono state utilizzate sia cellule staminali embrionali, sia cellule adulte riprogrammate, le cosiddette Staminali pluripotenti indotte (Ips). Una volta isolate e immerse in un ambiente capace di stimolarne lo sviluppo, le cellule sono diventate neuroni e si sono assemblate spontaneamente in una struttura tridimensionale. Non è un vero e proprio organo, quello che le cellule hanno "costruito", ma un organoide.
Ancora da migliorare - Dimensioni e forma non sono infatti quelle del cervello umano, ma la struttura è quella di un cervello in miniatura e ricorda da vicino quella della parte più evoluta e complessa: la corteccia. Ha anche una cavità interna che ricorda il ventricolo che porta il liquido cerebrospinale nel cervello umano e una struttura, ed è in grado di sopravvivere per mesi in un bioreattore che lo aiuta a nutrirsi. Nonostante questo, ci sono ancora molte limitazioni e c'è ancora moltissima strada da fare prima di riprodurre in laboratorio un cervello del tutto simile a quello umano. Per alcuni, anzi, questo è un obiettivo impossibile. Tuttavia per la prima volta questo mini cervello primitivo è un modello che, come notano i ricercatori, ha "incredibili somiglianze" con il cervello umano. (TGCom24)
mercoledì 10 luglio 2013
Oggi parliamo di MOBBING
lucammello18:30comportamenti, discriminazione sul lavoro, lavoro, mobbing, SALUTE, violenti
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Il mobbing è, nell’accezione più comune in Italia, un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, ostracizzazione, etc.) perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso. I singoli atteggiamenti molesti (o emulativi) non raggiungono necessariamente la soglia del reato né debbono essere di per sé illegittimi, ma nell’insieme producono danneggiamenti plurioffensivi anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua esistenza. Più in generale, il termine indica i comportamenti violenti che un gruppo (sociale, familiare, animale) rivolge ad un suo membro.
Mobbing sul lavoro
Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento (che potrebbe causare imbarazzo all’azienda) o per ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all’esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, etc.) o illegali.
Per potersi parlare di mobbing, l’attività persecutoria deve durare più di 6 mesi e deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico.
Si distingue:
- mobbing gerarchico: ossia gli abusi sono commessi da superiori gerarchici della vittima,
- mobbing ambientale: sono i colleghi della vittima ad isolarla, a privarla apertamente della ordinaria collaborazione, dell’usuale dialogo e del rispetto.
- mobbing verticale: o quando l’attività è condotta da un superiore al fine di constringere alle dimissioni un dipendente in particolare, ad es. perché antipatico, poco competente o poco produttivo; in questo caso, le attività di mobbing possono estendersi anche ai colleghi (i side mobber), che preferiscono assecondare il superiore, o quantomeno non prendere le difese della vittima, per non inimicarsi il capo, nella speranza di fare carriera, o semplicemente per “quieto vivere”.
- mobbing orizzontale: quello praticato da parte dei colleghi verso un lavoratore non integrato nell’organizzazione lavorativa per motivi d’incompatibilità ambientale o caratteriale, ad es. per i diversi interessi sportivi, per motivi etnici o religiosi oppure perché diversamente abile; generalmente la causa scatenante del mobbing orizzontale non sono tanto le incompatibilità all’interno dell’ambiente di lavoro quanto una reazione da parte di una maggioranza del gruppo allo stress dell’ambiente e delle attività lavorative: la vittima viene dunque utilizzata come “capro espiatorio” su cui far ricadere la colpa della disorganizzazione, delle inefficienze e dei fallimenti.
- mobbing strategico: ossia quando l’attività vessatoria e dequalificante tende ad espellere il lavoratore, per far posto ad un altro lavoratore (di solito in posizioni di dirigenza o apicali).
venerdì 21 giugno 2013
Lo stress da lavoro può causare un ictus?
Attenzione a non trascurare i sintomi dello stress da lavoro, se tirate troppo la corda, tra i possibili rischi per la salute c’è anche quello di andare incontro ad un ictus. L’allarme è stato lanciato dai ricercatori del National Research Centre for the Working Enviroment di Copenhagen, in seguito ad uno studio coordinato dal Dott. Lars L. Andersen. La ricerca danese ha coinvolto 5mila uomini in età comprese tra i 40 e i 59 anni, tutti seguiti per ben 30 anni, ovvero dal 1971 al 2001, con particolare attenzione al loro livello di stress lavorativo.
E’ emerso che proprio quest’ultimo fattore sia responsabile dell’1,4% dei casi di ictus. Entrando nello specifico della ricerca, all’interno del campione monitorato si sono verificati 779 casi di ictus, dei quali 167 mortali, e un buon 10% di questi attacchi hanno interessato persone che erano state sottoposte in modo continuativo a forte stress nella propria attività lavorativa.
Inoltre, si trattava per la maggior parte di individui con ruoli dirigenziali, con un livello di istruzione alto e un tenore di vita adeguato alle qualifiche professionali. Evidentemente, quindi, ad una maggiore responsabilità corrisponde anche un maggior rischio a livello di salute, perché l’organismo sottoposto a così grande pressione, per un periodo di tempo prolungato, può reagire molto male.
La cosa che è apparsa in modo lampante ai ricercatori è stata proprio la perfetta correlazione tra stress e ruolo professionale ricoperto, poiché entrambi salivano all’unisono. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Occupational and Environmental Medicine, e suggerisce soprattutto ai lavoratori giovani in tutto dediti alla carriera, a saper staccare la spina ogni tanto, proprio perché a lungo andare il loro fisico potrebbe risentire del continuo stress.
venerdì 3 maggio 2013
Discriminazioni sul lavoro: un altro cancro
E’ in crescita nel Regno Unito il numero di pazienti oncologici soggetto a molestie sul luogo di lavoro. Dal 23 al 37% in soli 3 anni. A dare la vergognosa notizia è l’associazione Macmillan Cancer Support, che da anni lavora per il miglioramento della qualità della vita dei malati dicancro e delle loro famiglie. Secondo ricerche pubblicate dal Centro, su più di 2000 britannici adulti affetti da neoplasie, uno su dieci ha subito vessazioni una volta rientrato dopo le cure, al punto di dover abbandonare il posto. Tra le discriminazioni: il rifiuto del datore di lavoro di concedere ‘tempo libero‘ per appuntamenti medici, essere scavalcati nelle promozioni, subire abusi dal capo o dai colleghi. Il tutto a dispetto dell’Equality Act 2010, contenente raccomandazioni sugli obblighi degli impiegati nella creazione di un ambiente favorevole al reinserimento lavorativo della persona malata e rispettoso dei suoi diritti. (West-info.eu)
giovedì 7 marzo 2013
Metodo Vannoni sulle staminali?
lucammello09:25degenerative, malattie incurabili, metodo vannoni, SALUTE, scientifico, staminali, TECNOLOGIA
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Nelle ultime settimane si è parlato tantissimo del metodo Vannoni sulle staminali, un metodo scientifico che, attraverso proprio le cellule staminali, permette di combattere patologie praticamente incurabili. E’ stata la trasmissione Le Iene che ha voluto far maggiore chiarezza sul metodo Vannoni sulle staminali, un procedimento che è stato bloccato dal Consiglio Superiore di Sanità. Prima di scendere nei particolari riguardo tale blocco giudiziario, vogliamo spiegarvi in che consiste il metodo Vannoni sulle staminali.
Come funziona il metodo Vannoni
Si parte innanzitutto dal presupposto che le cellule staminali siano una grandissima risorsa per l’organismo umano, garantiscono praticamente la vita a tutti noi. Il metodo Vannoni sulle staminali prevede in poche parole che tali cellule siano estratte in modo attivo. Principalmente le si preleva dalla parte spugonsa dell’osso del bacino, tale osso viene poi lavorato ricavando cinque tipi diversi di cellule staminali, chiaramente ognuna ha le sue funzioni. Attraverso il metodo Vannoni sulle staminali queste vengono moltiplicate e iniettate in quantità maggiore nell’organismo umano. Con un massimo di due iniezioni di cellule staminali si avrà un miglioramento della patologia, debellandola completamente. Chiaramente, essendo una terapia e non un metodo miracoloso, può capitare che negli anni la patologia si ripresenti, ma grazie al metodo Vannoni sulle staminali si riuscirà sempre a combatterla.
Il perché del blocco giudiziario?
C’è stato però un blocco sul metodo Vannoni sulle staminali da parte della Comunità europea, questo perché il dottor Vannoni non ha scelto la strada della sperimentazione, come obbliga il Consiglio Superiore di Sanità, ma si è avvalso delle cure compassionevoli. In poche parole c’è stata un’interruzione perché le terapie non vengono svolte in un laboratorio farmaceutico e ciò non è permesso dalla Comunità Europea. (paperblog.com)
venerdì 8 febbraio 2013
Carne di cavallo nelle lasagne Findus
lucammello14:07carne di cavallo, CURIOSITA', FOOD, lasagne findus, lasagne gran bretagna, SALUTE
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