mercoledì 21 marzo 2012

Giornata Mondiale dell'Acqua 2012

Roma, 21 mar. - (Adnkronos) - La Giornata mondiale dell'acqua (domani, 22 marzo) compie vent'anni da quando nel 1992 le Nazioni Unite ne raccomandarono la sua istituzione. Oggi sulla terra vivono 7 miliardi di persone che si prevede arriveranno a 9 miliardi nel 2050. Le statistiche dimostrano che tutte le persone bevono da 2 a 4 litri di acqua al giorno, ma la maggior parte dell'acqua assimilata è all'interno degli alimenti che vengono consumati: per produrre 1 chilo di carne bovina, per esempio, sono necessari 15.000 litri d'acqua, 1.500 litri per un chilo di grano.
Secondo l'Associazione UNWATER che promuove la giornata mondiale, sono oltre un miliardo le persone che non hanno accesso all'acqua potabile e, benchè il rapporto "Progress on Drinking Water and Sanitation 2012'', sostenga che nel 2012 con oltre 2 miliardi le persone che hanno avuto accesso con maggiore facilità a fonti di acqua potabile sia stato superato dell'1% l'obiettivo del piano di potabilizzazione mondiale, la strada da percorrere è ancora lunga.
Secondo l'Associazione è infatti necessario che si attui una seria politica di risparmi, cominciando dai consumi che dovrebbero essere indirizzati verso prodotti che fanno del'acqua un uso meno intensivo, ed evitando lo spreco di cibo che nei paesi ricchi arriva fino al 30% di quello prodotto.
Quanta acqua è contenuta in ciò che mangiamo? Produrre un pomodoro richiede 13 litri di acqua, una fetta di pane 40 litri, 100 grammi di formaggio 500 litri, un hamburger 2.400 litri d'acqua. E per quanto riguarda l'abbigliamento, per realizzare una T-shirt servono 2.000 litri d'acqua, per un paio di scarpe di cuoio 8.000 litri. Il consumo d'acqua virtuale giornaliero per alimentarsi varia da circa 1.500-2.600 litri nel caso di una dieta vegetariana a circa 4.000-5.400 litri per una ricca di carne.
Per misurare l'impronta idrica dei singoli alimenti, il Barilla Center for Food & Nutrition ha ideato il modello della doppia piramide alimentare e idrica, che mette in relazione la tradizionale piramide alimentare con il relativo impatto dei suoi componenti: questa comparazione mostra come gli alimenti della dieta mediterranea abbiano il minore impatto in termini di consumo di risorse idriche.
Allo stesso tempo, quei cibi per cui la piramide alimentare consiglia un consumo moderato risultano essere quelli con la più alta impronta idrica. La doppia piramide alimentare e ambientale e la piramide alimentare e idrica sono state selezionate ed esposte dal comitato del World Water Forum di Marsiglia tra i migliori modelli alimentari per la salvaguardia dell'ambiente e delle risorse idriche.
Adottare abitudini alimentari maggiormente "idrovore", ad esempio troppo ricche in grassi e zuccheri, risulta essere negativo non soltanto in termini di salute per l'uomo, ma anche per il benessere del pianeta, dove attualmente 1 persona su 6 può contare su meno di 20 litri d'acqua dolce al giorno, fabbisogno minimo giornaliero pro capite per assicurare i bisogni primari legati all'alimentazione e alle condizioni igienico-sanitarie e 1 miliardo di persone non ha accesso a risorse idriche sufficienti secondo i dati della Fao.
L'impronta idrica, o water footprint, è un indicatore utile per misurare l'impatto di ciascun prodotto (commodity, bene o servizio) sulle risorse idriche del pianeta, prendendo in considerazione il contenuto d'acqua virtuale di un prodotto, costituito dal volume d'acqua dolce consumata direttamente o indirettamente per realizzarlo, e calcolato sommando tutte le fasi della catena di produzione.

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Benzina addio, al volante dell' elettrica Twizy da 7mila euro

La Renault ci ha abituato alle novità e all'innovazione, come è stato per la Renault 5 con i paraurti integrati, o per i motori turbo, ma soprattutto non è la prima volta che "inventa" un nuovo segmento, come ci ricorda l'Espace, la prima monovolume, seguita dalla più compatta Scénic e da Twingo, la prima "monovolume" del segmento A. Ora è la volta di Twizy, un concetto unico nel suo genere sviluppato in tempi brevi da Renault Sport Technologies, tanto da essere stata presentata come prototipo nel 2009 al Salone di Francoforte e ora è pronta per il debutto nelle concessionarie.

Il prezzo è quello che era stato anticipato: si parte da 6.990 euro per la Twizy 45 (la meno potente) e da 7.800 per la Twizy. A questo bisogna aggiungere il noleggio della batteria che parte da 50 euro/mese per 36 mesi e una percorrenza di 7.500 km /anno, ma ci sono altre formule personalizzabili a seconda delle esigenze del cliente.

Non è un'auto, ma neppure uno scooter, sebbene tecnicamente appartenga alla "specie" dei quadricicli. In Renault l'hanno definita una Urban Crosser, per le sue caratteristiche a metà strada tra i due veicoli dai quali trae origine. È più sicura di uno scooter, grazie alla sua gabbia di sicurezza che protegge guidatore e passeggero anche nel crash test eseguito dalla Casa francese a 50 km/h, ed è pure più protettiva nei confronti delle intemperie, ma non quanto una "mini-car", microcar o "macchinetta" come sono definiti comunemente i quadricicli, con i quali, poi, alla fine si deve confrontare sul mercato.

Già il mercato, abbiamo imparato che oggi tutto si muove attorno ad esso: attualmente la capacità produttiva dell'unica fabbrica Renault dove viene prodotta la Twizy, a Valladolid in Spagna, assieme a Clio e Modus ma in capannone separato, è di circa 25.000 unità all'anno, una stima rivista al ribasso secondo il management di Parigi. Per l'Italia non ci sono valutazioni, tuttavia si parla di "qualche migliaia", d'altro canto mediamente si vendono annualmente 5.000 microcar e 150.000 scooter e, nel mezzo, si posiziona la Twizy.

Inoltre, fattore da non sottovalutare, la Twizy è un veicolo a trazione interamente elettrica e presenta notevoli vantaggi nell'uso prevalentemente urbano. In più, l'interesse per i veicoli elettrici sta crescendo, in virtù dell'aumento esponenziale del prezzo dei carburanti, ad iniziare dalla benzina che ormai ha sfondato il tetto psicologico dei 2 euro al litro.

Tutte rose, dunque? Invece no! Realizzata come sostitutivo dello scooter, Twizy nasce senza porte laterali (per le quali si paga a parte un fee di ben 600 euro). Belle dal punto di vista estetico e scenografiche nell'apertura a ventaglio, ma costose. Inoltre non sono completamente chiuse: "per migliorare l'aerazione ed evitare la necessità di avere un sistema di ventilazione", ma in pratica costringono i due occupanti ad un abbigliamento di tipo motociclistico, soprattutto in caso di pioggia, perché dentro entra l'acqua e si bagnano i sedili. La visibilità in retromarcia è piuttosto ridotta, limitata ai soli due specchi retrovisori laterali, ma a venire in aiuto ci sono i sensori di parcheggio (anche questi a pagamento). Tra le cose da rivedere prima della vendita ai clienti, ci sarebbero due dettagli: le luci restano accese anche quando si spegne il veicolo e nessun cicalino avverte il guidatore (con il rischio di penalizzare la batteria principale), come pure manca un segnale visivo o acustico che ricorda di allacciare le cinture a quattro punti.

Per contro, le dimensioni estremamente compatte -è lunga 2,34 m e larga 1,24 m e ha un baricentro molto basso dovuto alla posizione della batteria sotto il sedile del guidatore- la rendono agile e nello stesso tempo molto stabile, con una tenuta di strada da fare invidia a qualsiasi scooter, grazie alle quattro ruote disposte agli angoli del veicolo. Nello spazio dove parcheggerebbe un'auto tradizionale possono accomodarsi ben tre Twizy, tuttavia la sua funzione è quella di muoversi e con una buona accelerazione, per giunta. Da ferma arriva a 45 km/h in 6.1 secondi, e ne impiega 9.9 la versione 45 (paragonabile ad uno scooter 50cc), e anche la ripresa è brillante, merito dell'efficiente motore elettrico. La frenata è molto efficace, per la leggerezza del veicolo che non supera i 450 kg, per il sistema di recupero dell'energia in frenata, una tecnologia di Magneti Marelli sviluppata da Renault in F.1 (il famoso Kers/Srec, il sistema di recupero dell'energia cinetica) e per la presenza di quattro freni a disco. Il telaio è stato "pensato" dal Reparto Renault Sport Technologies, e trattandosi di un veicolo molto speciale, la cella di sicurezza si comporta come un gigantesco per "casco" per i due occupanti lasciando loro il più ampio contatto con l'ambiente esterno. Ci sono airbag e cintura a 4 punti per il guidatore, e cintura a tre punti per il passeggero che è più protetto nella parte posteriore della scocca. Lo sviluppo di Twizy beneficia di tutta l'esperienza Renault in tema di sicurezza: crash test, dimensionamento digitale, l'omologazione ai banchi del centro prove del Gruppo a Lardy (regione di Parigi), migliaia di chilometri di test a grandezza reale. Sempre di RS Technologies è lo sviluppo del motore elettrico posto in posizione posteriore centrale per governare direttamente la trazione posteriore, e pure la batteria è costruita in casa, da Renault, proprio a Valladolid. L'autonomia omologata di Twizy va da 100 km a 120 km (per la Twizy 45), ragionevolmente si riescono a percorrere fino a 80 km viaggiando con la versione più potente anche fuori città, ma se si adotta una guida particolarmente aggressiva e "sciupona" scende a 55 km. La ricarica avviene con il caricabatteria "on board" nella parte anteriore dove aprendo uno sportellino si può estrarre il cavo lungo circa 3 metri. Il collegamento è facilissimo, è sufficiente una presa comune da 220 Volt anche di soli 10A e in 3 ore e mezza si riesce a fare un "pieno d'energia", con un costo attorno ad un euro. E la Twizy è pronta a percorrere ancora 80-100 km.

Il comfort, mai eccessivo, nella Twizy è assicurato dalle semi-porte e dai numerosi vani presenti, come i due ripostigli sul cruscotto, con quello a sinistra che contiene una presa da 12 volt e quello di destra chiudibile con la chiave, come il posteriore da 31 litri, messo dietro lo schienale del passeggero. Il display digitale in posizione centrale sul cruscotto mostra la velocità, consumo istantaneo, l'ora e l'autonomia residua, calcolata con un algoritmo in base allo stile di guida tenuto nei chilometri già percorsi.

Gli allestimenti disponibili per l'Italia, dal prossimo 31 marzo, il giorno del lancio, sono tre: Urban con quattro colorazioni alla base della gamma; Color con i copri cerchi bianchi e Stickers colorati; e Technic , bicolore con i cerchi in lega diamantati, il guscio del sedile bianco e vernice metallizzata di serie. I colori variano dal bianco, al nero, al rosso, o anche bicolore, inoltre è possibile una personalizzazione quasi totale. Twizy, pur disponendo dello stesso motore e della stessa batteria è disponibile con due livelli di potenza riconoscibili dalla denominazione Twizy 45, per essere guidata anche a 14 anni con il patentino, che ha una velocità massima limitata a appunto a 45 km/h, e semplicemente Twizy (equiparata ad un 125 cc) per la quale occorre la patente A, A1 o B e non può percorrere autostrade e tangenziali.

Tra gli accessori si trovano il Kit audio/telefono viva voce della Parrot, lo zaino estraibile da 50 litri per la spesa, il wind cover (la copertina) per il comfort termico, i sensori di parcheggio posteriori e l'allarme antifurto. (di Marina Terpolilli tratto da il Sole24ore)
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martedì 20 marzo 2012

Pirate Bay: "I server? Nello spazio a bordo dei droni"

Roma, 20 mar. (Ign) - Pensate a un drone, gli aerei spia che fanno notizia quando vengono abbattuti. Piccoli velivoli, senza pilota, che le grandi potenze occidentali (ma ci sono anche quelli russi, cinesi e israliani) mandano al di là delle linee nemiche per scattare foto a siti militari, a postazioni segrete, a centrali nucleari. Di solito li vediamo 'veleggiare' con la stella americana, nei cieli del Medio Oriente. Con i guardiani della rivoluzione iraniana pronti ad abbatterli e a mostrarli come trofei. Oppure in Afghanistan, a spiare i talebani. O in Iraq.
Ora immaginiamoli con uno stemma che rappresenta un vascello pirata con tanto di bandiera, con teschio e ossa incrociate. Non più aerei-spia ma nascondigli per i server 'illegali' di Pirate Bay, i pirati del web svedesi, più volte condannati per file-sharing illegale. E più volte chiusi. Con i loro server oscurati, sia dagli Usa che dalle autorità europee, che danno la caccia a chi viola le leggi del copyright. Peter Sunde, Fredrik Neij, Gottfrid Svartholm e Carl Lundström, i capi dei pirati della baia, già condannati a 10 mesi di carcere e a un risarcimento di 6,8 milioni di dollari non si arrendono. E si preparano a una nuova sfida senza confine. Che ora potrebbe spostarsi all'insù, cioé nello spazio, dove, spiegano i pirati scandinavi sul loro blog di piratebay.se, "presto sposteremo i nostri server".
L'idea lanciata di sembra un po' stravagante, e forse rappresenta solo una provocazione. Ma non mancano i dettagli: "Computer mini da montare sui droni, come i Raspberry Pi, un single-board pc sviluppato nel Regno Unito e appena uscito sul mercato, Gps, collegamento radio con portata fino a 50 km e trasmissioni a 1000 megabit. Il tutto da mandare in cielo grazie ai droni. E poi vediamo, sembrano dire i pirati, se gli Stati Uniti dell'Arroganza, come chiamano gli Usa, riusciranno a chiuderci anche questi.
C'è già il nome per i futuri droni volanti: Low Orbit Server Station (Centro Server di orbita inferiore). Un nome che richiama il Low Orbit Ion Cannon (Cannone Ionico di orbita inferiore). Il 'cannone' di Anonymous, gli hacker attivisti in campo per la libertà della rete, che hanno utilizzato negli scorsi mesi questo software per violare tanti siti, da quello del Vaticano a quelli della Ue, fino a quello della Alleanza atlantica.
Tantissimi i commenti nel blog dei cybernauti. Tutti entusiasti. Con tanti complimenti per la trovata e qualche consiglio, come quello di 'mirogster' che scrive: "Sarebbe meglio mandare in orbita i politici corrotti, piuttosto che i server". Oppure di chi preferisce mandare i server non in cielo, ma in mare: "Fate come i pirati olandesi di Radio Veronica", scrive 'salazam1'. E c'è anche chi propone le mongolfiere. C'è poi chi si rallegra ("farò il download dallo spazio, che cosa bella!!!"). Qualcuno infine è sfiorato dal dubbio: "Non è troppo presto per il pesce d'aprile?", scrive 'WallaceII'.
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L'ultimo palco di Ivano Fossati

Il cantautore genovese ritorna a casa dopo un viaggio durato quattro decenni e diciotto dischi, capace di segnare non solo il nostro tempo con canzoni divenute bandiere di un'epoca, ma anche la storia politica di questo Paese: "Non preoccupatevi, da domani potrete finalmente suonare quello che vi pare"


Chi si aspettava lacrime e rimpianti, è rimasto deluso, perché l'ultimo concerto di Ivano Fossati ieri sera al Piccolo di Milano, è stato all'opposto in linea con la carriera quarantennale del cantautore genovese: intenso, poetico e decisamente sobrio, con un'unica concessione al termine delle oltre tre ore di musica quando, da due cannoni ai lati del palco, sono stati sparati in aria coriandoli luminosi.

Sul palco, tra gli applausi e i boati del pubblico, se ne stava in piedi lui, arrivato al termine di questo lungo addio durato cinque mesi con una lucidità e una determinazione davvero feroci al punto di non commuoversi nemmeno davanti all'ovazione di cinque minuti che il teatro gli riserva prima dei bis finali. "Grazie, grazie a tutti. Quello che avete fatto è una cosa davvero eccezionale".

Pochissime parole, una scaletta in linea con il tour e pochi fuori scena tra cui la bella sorpresa della band a metà concerto che, a insaputa di Fossati, attacca The End dei Beatles, dedicandogli una frase manifesto, soprattutto in questo contesto: "E alla fine l'amore che ricevi è uguale a quello che dai". Per capire però l'impatto culturale, oltre che musicale, che Fossati ha avuto sul nostro Paese in questi quarant'anni, ieri sera era sufficiente, più
che ascoltare il concerto, osservare il pubblico, un gruppo di persone eterogeneo e trasversale, che mescolava tre generazioni e nomi differenti e apparentemente lontani come Sergio Cofferati e Noemi, Marco Mengoni e Dori Ghezzi.

Tutti lì, in fila, in piedi, a tributare l'ultimo applauso a uno dei pochi veri autori della canzone italiana, un uomo che solo alla fine, quando ormai la mezzanotte è passata e il concerto è finito, decide di sciogliersi e, imbracciato il flauto, intona Dolce acqua, un pezzo della sua prima band, i Delirium, datato 1971. In mezzo c'è una vita intera, ci sono le ventotto canzoni portate in scaletta, anticipate dalle citazioni del Milione di Marco Polo e le cui parole, non a caso, sconfinano proprio nella biografia di Fossati: "Davanti ai nostri occhi stava comparendo Venezia. Eravamo tornati a casa dopo tanti anni, e la mia barba si era fatta grigia".

Non sarà Venezia, ma Fossati ritorna a casa dopo un viaggio durato quattro decenni e diciotto dischi, capace di segnare non solo il nostro tempo con canzoni divenute bandiere di un'epoca (La mia band suona il rock), ma anche la storia politica di questo Paese grazie a inni come Canzone popolare, che nel 1996 divenne l'inno del trionfo dell'allora Ulivo di Prodi. "Non preoccupatevi, da domani potrete finalmente suonare quello che vi pare" ironizza a un certo punto della serata rivolto alla sua band, prima di concludere il concerto, non casualmente, con le parole di un pezzo del 1993, Buontempo: "Oggi non si sta fermi un momento, oggi non si sta in casa, che è buontempo". Poi si chiude il sipario, mentre qualcuno si asciuga le lacrime, qualcun altro scuote la testa e, dal fondo del teatro, sale solitario un grido: "Ripensaci!". Ma difficilmente accadrà. (La Repubblica)
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"IT verde": ecco il laser che "cancella" i fogli già stampati

La pubblicazione scientifica del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ha dato spazio ad una ricerca che potrebbe, in futuro, aprire la strada a nuove metodologie per il riciclo della carta. In un mondo sempre più digitale, si stampa ancora troppo e da qualche tempo nei messaggi di posta elettronica capita di leggere esortazioni a rispettare l'ambiente ed a stampare le e-mail solo quando strettamente necessario.
Alcuni ricercatori inglesi vogliono però compiere un passo in più, che va ben oltre la sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul tema della battaglia contro gli sprechi. Julian Allwood (nella foto a lato), accademico della University of Cambridge, ha rivelato un nuovo sistema che sarebbe in grado di rimuovere il toner presente sui fogli di carta già stampanti consentendone l'immediato riuso.

Lo studio, condotto in collaborazione con un altro ricercatore, David Leal-Ayala, illustra l'utilizzo di una luce laser che permette di decomporre il toner svolgendo di fatto un processo inverso a quello di stampa. Secondo quanto affermato dagli esperti anglosassoni, la rimozione automatica del toner non causerebbe danni alle fibre della carta ed uno stesso foglio potrebbe essere riutilizzato fino a cinque volte prima di essere gettato nel cestino (del riciclo, ovviamente). "Stiamo cercando di vaporizzare il toner in maniera molto veloce", ha osservato Leal-Ayala. Il trucco, secondo gli studiosi, consisterebbe nell'utilizzo di un laser che proietta una luce verde ad intervalli rapidissimi, dell'ordine dei nanosecondi. Dal momento che la fibra di cellulosa è sostanzialmente immune ad un'azione del genere, gli impulsi luminosi verrebbero totalmente assorbiti dal toner. L'unico problema, spiega Allwood (anche il cognome del ricercatore è tutto un programma...), è che il calore assorbito dal toner venga comunicato al foglio di carta. Ed è proprio l'impiego di impulsi rapidi che permette al toner di "evaporare" prima di causare danni alla carta.

"Adesso stiamo cercando qualcuno che ci aiuti a costruire un prototipo", ha concluso Allwood. L'ambiente ringrazia. (Il Software.it)
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Pino Daniele, album lussuoso, chitarra ardente

Pino Daniele rappresenta meglio di altri le sofferenze di un artista nella crisi, con la deriva "talentistica" e la caduta di profilo di alcune majors discografiche. Bloccato nei budget, costretto a vendere le canzoni un tanto l’una manco fossero patate, e visibilmente a disagio, ha finalmente scelto l’indipendenza. Il risultato non è il «prodottino» di cui si discute in tv, ma un album inedito che tiene alta la dignità della musica popolare: nella versione fisica di «La grande madre», che esce oggi, c’è un autentico scatto di orgoglio cantautorale.
Il box contiene spartiti musicali, foto, testi, biografia. Una riapertura a chi ama i contenuti, a lungo trascurato come figlio di un dio non abbastanza modaiolo.

Ma è poi la musica a far la differenza rispetto ad un certo appannamento dell’ultimo Daniele. In 12 brani, c’è una dedicata esplorazione di varie sue anime chitarristiche: uno strumentale, «The Lady of My Heart»; la cover in italiano di «Wonderful Tonight» di Eric Clapton con il quale l’artista ha stretto una collaborazione. «Searching for the Water of Life» è un brano in inglese a favore dell’organizzazione «Save the Children», «Coffee Time» una immaginifica fuga jazzy che ritorna in «’O Fra» dove si riscopre la parlesia, quel gramelot napoletano frutto di lontane contaminazioni con la lingua di zingari rumeni dediti all’arte di strada. E poi brani più tradizionali in italiano come «Melodramma» o «Due Scarpe», mentre «La grande madre» è una dedica appassionata ai suoni contaminati dall’Africa.

Pino ha scelto anche collaudatissimi musicisti che già avevano collaborato con lui, da Steve Gadd alla batteria a Mino Cinelu alle percussioni; alcuni, come Omar Hakim già Weather Report e la pianista Rachel Z, lo accompagneranno pure nel tour che parte sabato prossimo da Cesena e andrà all’estero. «Il disco, e il tour, seguono Pino Daniele e non il mercato - dice lui orgogliosamente -. Il rischio me lo prendo io. Pensi che per "Melodramma" alcune radio hanno obiettato che ci sia la parte strumentale». I soliti problemi da analfabetismo marketing, ma Pino è convinto che si riaprano spazi d’ascolto in programmi dedicati: «Son convinto che tornerà la tensione informativa. Porto l’album in giro, lo venderemo noi, faremo il vinile. Chi segue questo tipo di musica lo prenderà, pure gli spartiti ormai si trovano solo su internet. Preferisco aver un atteggiamento sulla musica ancora più solenne, invece che esser costretto a star dentro binari prefigurati». Pensa ai concerti all’Apollo di New York e all’Università di Boston, è ottimista: «Non è vero che la musica non ha più interesse. Stanno cambiando i supporti, le opportunità, ma da lì a dire che la cultura non serva a niente ce ne corre. Noi che abbiamo una storia, un nome, dobbiamo stimolare la gente ancora di più. Ora c’è un’aria intorno che rende possibili questi ragionamenti».

Il tour: Cesena 24, Catania 29, Napoli 31/1 aprile, Roma 6 e 15 aprile, Firenze 19, Padova 21, Reggio Emilia 3 maggio, Bologna 5, Torino 7, Milano 13 e 25, Genova 28. (LaStampa)
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domenica 18 marzo 2012

Il Commodore 64 rivive nel cellulare con Android

La schermata di Frodo C64, la app che fa rivivere il Commodore 64 nel cellulare.
Se avete dai 35 anni in su e siete cresciuti a pane e Commodore 64, con Frodo C64 vi sembrerà di fare un tuffo nel passato: questa app, infatti, fa rivivere il mitico personal computer (popolarissimo negli anni Ottanta) in un qualsiasi smartphone dotato di sistema Android. E lo fa rivivere in tutto e per tutto fin da quando, dopo averlo installato e lanciato, vi si presenta con la sua inconfondibile (e indimenticabile!) schermata azzurra, con il cursore quadrato lampeggiante che attende istruzioni.

Per riscoprire i… miti del passato!
A quel punto se avete avuto un passato da programmatori (o giù di lì), potete provare a “rinfrescare” le vostre conoscenze dando al vostro smartphone esattamente le istruzioni che all’epoca al mitico “64”. Se invece fate parte della ben più nutrita schiera di quelli che l’avevano “per giocarci e basta”, beh, allora avete tra le mani una vera macchina del tempo delle emozioni. Prima di metterla in moto, però, bisogna procurarsi i giochi, che non sono già compresi nella app ma vanno cercati in rete: è l’unica seccatura, questa, perché bisogna andare a caccia nelle community di amatori del genere. Ma su una di queste, www.c64.com, c’è tutto quel che serve: i giochi sportivi come International Soccer, Track & Field e Summer Gamer, quelli di avventura (come la saga di Pitfall) oltre ai mitici HunchBack, Ninja Pac Man e così via.
Tra i tanti giochi che si possono usare sul "simulatore" di Commodore, c'è anche il mitico International Soccer.

Certo, è un po’ meno romantico, però…
Ovviamente cassette e floppy disk sono solo un ricordo sbiadito, e pazienza se va persa quella suspence che tutti abbiamo provato ogni volta che si caricava un gioco e non era mai garantito se l’operazione sarebbe andata a buon fine: ogni titolo è un file che va scaricato nello smartphone prima di lanciare la app, quindi conviene collezionarne un certo numero (visitando www.c64.com direttamente col telefonino oppure col computer e copiando successivamente i giochi nel cellulare, collegandolo con un cavetto) e poi lanciare Frodo C64.
Altro titolo che rivive con Frodo C64 è Pitfall II, gioco di avventura.

Un confronto impietoso.
Per dare il via, basterà premere il tasto “menu” del cellulare, selezionare Load Disk e cliccare sul titolo con cui volete giocare. È finalmente il momento dei ricordi, tra il nostalgico e l’incredulo. Principalmente vi chiederete – magari col pensiero alle odierne simulazioni realistiche in 3D – come fosse possibile che giochi tanto semplici, spartani nella grafica ed elementari nel funzionamento, riuscissero a tenere incollate alla tv generazioni di ragazzini col joystick in mano. A proposito di joystick: i comandi sono ovviamente virtuali e consistono in un joypad e in un pulsante di sparo che occupano una bella fetta dello schermo, risultando non proprio comodi da usare. Questa, insieme alla possibilità che alcuni giochi – a seconda della versione di Android presente nel cellulare – non funzionino bene (per esempio, l’audio potrebbe gracchiare), è tra le poche note dolenti di questa app. Ma è un prezzo che si può pagare per l’effetto-nostalgia, no?
Frodo C64
Disponibile solo per Android, sul market Play Store (gratuito).
Nota: test condotto con uno smartphone Google Nexus S, con Android 4.0.1. (BlogFocus.it)
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sabato 17 marzo 2012

TV: il cinguettio aumenta lo share

Roma, 16 mar. - (Ign) - Nel mare magnum delle 'chiacchiere' su Twitter sempre più commenti sono dedicati ai programmi televisivi. Da quella grande tribuna (conta ormai 500 milioni di utenti) che fa del cinguettio il suo linguaggio spuntano tra i trending topics soprattutto talk show di politica. Piazzapulita e Servizio Pubblico con i loro ospiti e argomenti trattati nel corso della trasmissione creano un certo 'movimento social'. Che probabilmente tra qualche anno sarà di grande interesse per gli ascolti tv e si intersecherà con questi. E' vero anche che questi talk show fanno di Twitter un mezzo ampiamente usato, a disposizione anche per il pubblico più giovane, abituato a tweet durante le dirette tv dando una mano così all'audience. Come dire che tra spettatori e follower sui social network si amplifica la platea generale che segue i programmi tv.
Un esempio in questo senso è stato l'ultimo show tivù di Fiorello, Il più grande spettacolo dopo il weekend. Seguitissimo su Twitter con numerosissimi commenti, il varietà ha monopolizzato i trend del social network prima e durante la programmazione: l'hashtag della trasmissione si è imposta al top della classifica tanto che, oltre al boom di ascolti tv, lo show ha registrato anche grandi numeri in Rete.
Lo share si aggancia dunque sempre più ai social network dove, a differenza degli ascolti tv, gli utenti però hanno modo di motivare il gradimento postando un commento. Con assenza dialettica? A parere del giornalista Michele Serra (vedi "L'Amaca" pubblicata su 'Repubblica' di oggi) i tweet a commento di un programma tagliano fuori, tra pro e contro, sintesi possibili. Il giornalista di Repubblica racconta nella sua rubrica quotidiana di aver seguito un programma tv con un amico "molto interconnesso" che gli leggeva in diretta alcuni commenti Twitter. E secondo questi, scrive Serra, "il conduttore era per alcuni un genio, per altri un coglione totale, e tra i due 'insiemi', quello pro e quello contro, non esisteva un territorio intermedio. Era come se il mezzo (che mai come in questo caso è davvero il messaggio) generasse un linguaggio totalmente binario, o X o Y, o tesi o antitesi. Nessuna sintesi possibile, nessuna sfumatura, zero possibilità che dal cozzo dei 'mi piace' e 'non mi piace' scaturisse una variante dialettica, qualcosa che sposta il discorso in avanti, schiodandolo dal puerile scontro tra slogan eccitati e frasette monche".
"Poiché non è data cultura senza dialettica - conclude il giornalista-, nè ragione senza fatica di capire, la speranza è quel medium sia, specie per i ragazzi, solo un passatempo ludico, come era per le generazioni precedenti il telefono senza fili. E che sia altrove, lontano da quel cicaleccio impotente, che si impara a leggere e a scrivere. Dovessi twittare il concetto, direi: Twitter mi fa schifo. Fortuna che non Twitto...". Al di là della condivisone o meno della parole di Michele Serra (i 'twitteriani' gli si sono scatenati contro) quel che interessa è la rapidità con cui questo articolo si sia diffuso proprio su Twitter divenendo oggetto di discussione, balzato in testa ai trending topic del giorno. In questo senso si può pensare anche all'interesse legato ai programmi tv per far accrescere gli ascolti generando sfide tra trasmissioni concorrenti sui social network. Come dire: parlatene bene o male, basta che se ne parli. E lo share cresca.
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C'era una volta...la Luna

ROMA - Così immobile e sempre presente sulle nostre teste, la Luna è stata sin dai tempi più antichi oggetto di curiosità per l'uomo. Ora, dopo anni di racconti legati alla mitologia e alla fantasia, un video ci mostra la vera storia del notro satellite. Grazie all'ausilio dell’orbiter Lunar Reconnaissance, gli scienziati del Goddard Space Flight Center della NASA, sono infatti riusciti in soli tre minuti a ricostruire il percorso della Luna dalla sua nascita, avvenuta 4,5 miliardi di anni fa,  fino ai giorni nostri. 

Staccatasi dalla Terra ben 4 miliardi e mezzo di anni fa, sotto forma di palla incandescente, la Luna venne esposta per anni alle violente intemperie dell'Universo. Circa 4,3 miliardi di anni fa, venne infatti colpita da un enorme asteroide del diametro di 200 km. L'enorme impatto, diede vita al Bacino Polo Sud-Aitken. Ma quello fu solo l'inizio. In seguito alla formazione del Polo Sud, la Luna fu bombardata per due miliardi di anni da piccoli asteroidi e sassi cosmici che nel tempo ne hanno modificato la superficie. Nascono così, i crateri, i monti e le valli visti per la prima volta da Galileo Galilei nel 1609. 

Il tocco finale alla formazione del satellite come lo conosciamo noi, è arrivato circa un miliardo di anni fa quando nuovi impatti hanno dato vita ai crateri a raggio e modificato definitivamente la topografia della Luna. (Diregiovani.it)

Di seguito, il video della Nasa che riassume in tre minuti la vera storia della Luna

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